La bistecca stampata in 3D, il latte sintetico, la farina d’insetti al posto di quella di grano. È tutto pronto e questo è il menù che ci attende da qui a qualche settimana. Potrebbe essere il pranzo di Natale o il cenone della fine. Sì, della fine dell’agricoltura italiana, della zootecnia. Oramai la Commissione europea non intende recedere dal suo progetto di azzerare la produzione agricola per salvaguardare l’ambiente e di sostituire i cibi di tradizione, a cominciare da quelli mediterranei, per sostituirli con i cibi Frankenstein prodotti in laboratorio e che assicureranno enormi guadagni alle multinazionali dell’alimentazione. L’allarme arriva dal governo statunitense che ha messo in guardia l’Europa da un eccesso di contrazione di produzione e viene rilanciato da Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, all’indomani dell’annuncio dell’Olanda di aver finanziato la produzione di carne sintetica. È solo l’ultimo atto della linea di Bruxelles per l’azzeramento agricolo.
Ursula von der Leyen è andata da Bill Gates ad anticipare cosa intende fare per la salute degli europei. Lo ha detto in anteprima al primo finanziatore della carne sintetica, sostenendo che l’Europa promuoverà nuovi cibi. Non è anomalo?
«Assolutamente sì e questo conferma l’allarme che deve essere ultimativo: così l’Europa prende una deriva senza ritorno. Il governo americano con l’Usda, il suo dipartimento agricolo, e con il Grc, il valutatore dei rischi globali, ha messo in guardia l’Europa dal proseguire sulla linea tracciata con il Farm to fork che porta a una diminuzione di produzione europea del 30%. Questo mette a rischio la sicurezza alimentare globale. Mentre gli americani ci invitano a riflettere la von der Leyen va alla corte del primo finanziatore dei cibi sintetici. È una strategia chiarissima che intende desertificare l’Europa agricola per favorire enormi interessi delle multinazionali della nutrizione» .
Eppure non si vede nascere una forte opposizione alla linea Von der Leyen . Perché?
«Francamente stupisce che governi, alcune organizzazioni agricole e industriali, istituzioni europee e anche imprenditori dei settori colpiti non siano consapevoli della gravità del rischio che stiamo correndo. Lo smantellamento della produzione agroalimentare europea, che si evidenzia in proposte normative come quella sui fitofarmaci o sulle emissioni delle stalle equiparate alle industrie e in iniziative come il Nutriscore, che avvantaggiano l’iper-trasformato, c’è parte di una strategia portata avanti da poche multinazionali che vogliono controllare l’alimentazione globale attraverso il cibo sintetico».
Dunque si va verso la scomparsa del modello agricolo e agroalimentare italiano?
«Il rischio è fortissimo. La verità è che questo incredibile risultato è il frutto di una campagna di disinformazione portata avanti dalle poche multinazionali del cibo sintetico che secondo McKinsey investiranno 25 miliardi di dollari per i prossimi anni, al fine di far sottovalutare volutamente i rischi connessi, sia di natura democratica che di sicurezza alimentare, ai cibi iper processati e sintetici. Al fine di evitare che la malafede di qualcuno, ma soprattutto la mancata informazione dei cittadini e del consumatore spalanchi la strada a Frankenstein, a tavola è necessario denunciarne a tutti i livelli i veri rischi. Coldiretti e Filiera Italia lo hanno cominciato a fare. A partire dallo straordinario strumento di comunicazione con milioni di cittadini che sono i villaggi Coldiretti. Serve però una consapevolezza e una mobilitazione di tutto il sistema Italia anche a Bruxelles».
Ma Frankenstein a tavola sembra lontano, invece incombe il pericolo ambiente da sconfiggere anche con i cibi sintetici. In questo il vicepresidente della Commissione, l’olandese Frans Timmermans, è particolarmente attivo…
«C’è ancora chi pensa che il rischio dei cibi sintetici sia lontano: evidentemente non è informato del fatto, tanto per stare a Timmermans, che il governo dei Paesi Bassi ha annunciato un piano di investimenti record di 60 milioni di euro nel settore dei cibi sintetici, con denaro proveniente dal Fondo nazionale per la crescita. Tale investimento sui cibi sintetici sarà integrato con ulteriori 25 milioni in cofinanziamento europeo, per un totale di 85 milioni di euro, ovvero il più grande sostegno finanziario mai realizzato da un governo nazionale nel campo dell’agricoltura cellulare. E c’è chi è convinto che i cibi sintetici abbiano un effetto positivo sull’ambiente. Ne sono convinte molte Ong, non saprei dire se in malafede o per ignoranza dei dati scientifici, che non si accorgono come siano le grandi imprese energetiche a sostenere il cibo di sintesi. La ragione è semplice: per produrlo serve un consumo smisurato di energia che alimenta i bioreattori».
Sì, ma l’Ue che vuole etichettare come cancerogeni salumi, carne, formaggi e vino sostiene che i nuovi cibi sono salutari. Anche questo non è vero?
«Basterebbe sapere che in Israele il ristorante The Kitchen permette di consumare pollo coltivato, ma i clienti devono firmare una liberatoria, assumendosi tutti i rischi. Una precauzione legata al fatto che gli effetti soprattutto a lungo termine di queste “cellule impazzite” sull’organismo umano sono del tutto ignoti. Bisogna avere il coraggio di prendere atto del fatto che non è un caso che chi sostiene da un lato lo smantellamento e la trasformazione della terra europea in grandi giardini improduttivi dall’altro favorisce anche con investimenti pubblici comunitari aziende che dal prossimo anno saranno in grado di produrre in Europa latte e carne sintetica».
Un’ultima domanda: ma il ministero della Sovranità alimentare serve a fermare questa deriva?
«Sì. Chi ironizza su banane e ananas oltre a una caduta di stile dimostra di non aver compreso qual è la posta in gioco. Perché se si parla di energia il coro unanime è: basta dipendere da regimi autoritari e quando si parla di cibo a nessuno viene in mente che finiremo con l’essere dipendenti da regimi ancora più autoritari e da operatori giganteschi e senza volto. La sovranità alimentare non è autarchia: è difesa delle proprie produzioni e dei propri modelli in un mercato globale equo, dove il principio della reciprocità deve valere come prima regola, sia per la qualità che per la salubrità» .