Il rinvio deciso dalla Commissione Ue sulla proposta di regolamento che doveva introdurre l’etichetta
a semaforo salva l’85% in valore del made in Italy a denominazione di origine che rischiava di essere penalizzato dal Nutriscore. Ma lo stop che tanto ha fatto arrabbiare i francesi è importate anche al di là dell’etichetta a semaforo. «È la prima battuta d’arresto nella strategia di una parte della Commissione, guidata dal commissario Frans Timmermans, finalizzata a gestire in maniera ideologica la transizione verde e il programma Farm to Fork con l’idea di trasformare buona parte delle terre europee in un grande giardino improduttivo». Così Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, fa il punto dopo l’inatteso altolà sull’adozione del Nutriscore. «Una strategia studiata a tavolino», aggiunge, «che oggi comincia a rallentare per una serie di fattori coincidenti e non prevedibili. Innanzitutto la perdurante gravità della crisi della guerra e dell’energia che ha portato ad un inedito aggravamento nel problema della insicurezza alimentare mondiale ed anche una ridotta accessibilità al cibo per l’aumento dei prezzi e l’aggravamento della diseguaglianza alimentare nei Pesi più sviluppati. Condizioni non prevedibili solo un paio d’anni fa che hanno bloccato in parte o certamente rallentato il piano di chi dava ormai per scontato, grazie all’appoggio di poche Ong ambientaliste e ad un racconto solo ideologico della transizione verde, lo smantellamento della produzione agroalimentare europea». Su quale fosse il punto d’arrivo della strategia perseguita da una parte dell’Eurogoverno, Scordamaglia non ha dubbi: «Come Coldiretti e Filiera Italia siamo stati quelli che prima di tutti avevano visto nel Green Deal e nella Farm to Fork una opportunità per un’agricoltura distintiva, di biodiversità e sostenibile come la nostra in grado di esprimere il massimo valore aggiunto a livello europeo, 64 miliardi di euro record assoluto tra tutti i Paesi della Ue, con appena 30 milioni di tonnellate di emissioni, contro i quantitativi tre volte superiori della Francia e doppi della Germania. Poi però abbiamo capito che l’obiettivo di alcuni commissari non sarebbe stato quello di un’agricoltura europea più sostenibile ma l’annientamento dell’agricoltura stessa, la desertificazione produttiva dei nostri campi e del conseguente spostamento della produzione di cibo verso altri continenti che producono con standard lavorativi, ambientali e di sicurezza inferiori ai nostri ma che sarebbero poi stati liberi di riesportare questi prodotti di qualità inferiore verso il nostro mercato». Fortunatamente, almeno per il momento, questo disegno perverso è stato bloccato, come spiega il numero uno di Filiera Italia: «È allora che abbiamo cominciato ad opporci stringendo alleanze con organizzazioni agricole di altri Paesi e con i vari gruppi del Parlamento europeo meno ideologici. Dicendo no all’assurdità ad esempio della proposta normativa sui pesticidi che non è scritta per ridurne l’uso ma per far smettere completamente di produrre mais in zone come la Pianura Padana e conseguentemente far scomparire tutte le nostre principali Dop ed Igp della filiera zootecnica, dai nostri formaggi ai nostri migliori salumi. Si può essere favorevoli ad una riduzione dell’impiego di fitofarmaci solo a partire da quando si creano alterative concrete o quando si semplifica una burocrazia che impiega dieci anni per autorizzare un nuovo principio attivo naturale efficace».